SABATO 24 NOVEMBRE ore 16,30
SALA DEI SAVI, PALAZZO DEI CAPITANI
PIAZZA DEL POPOLO – ASCOLI PICENO

PRESENTAZIONE DEL VOLUME
ASCOLI NAIF 2
composizioni dialettali ascolane con traduzione italiana
di Carlo Spurio

‘Ascoli Naif 2′ ci viene regalato, a distanza di 4 anni dal primo volume, dal nostro Carlo Spurio. Noi LIFC Marche abbiamo provveduto alla stampa e l’intero ricavato andrà a sostenere i progetti della Lega Italiana Fibrosi Cistica delle Marche.
Ci piace riportare, qui di seguito, alcuni passi dell’introduzione al Volume, curata dal Dott. Armando Falcioni:
“La consideriamo una vera opera d’arte, al di là di valutazioni tecniche. Perché realizzata con cuore ed anima e perché, come tutte le volte che un autore pubblica e si misura con il lettore o un artista espone, si rimette al giudizio di chi legge e giudica.
Allora ringraziamo Carlo Spurio per questo regalo alla nostra comunità e per il suo insegnamento ad una maggiore vita sociale, ad impegnarsi per una società migliore dove tutti possono fare la loro parte.
E’ vero omaggio alla ascolanità intesa in senso lato, dove ascolano non significa essere circoscritto dalle mura cittadine ma è modo di essere, è una cultura, è suggellare uno spiccato senso di appartenenza, è un forte aggrapparsi alle nostre radici, è una apologia al lento incedere della vita di provincia che solo superficialmente appare fuori luogo ma, credo, sia il nostro vero appiglio verso l’aspirazione per una società migliore, quella che non corre, si sofferma, si stupisce, si ferma a contemplare, a coltivare ed elevare rapporti personali diversi, non usi e ridotti solo ad una rapida e fredda complicità”
.
Espressioni felici per descrivere questo grande omaggio.

Dalla Presentazione della Prof.ssa Giorgia Spurio:
“La poesia di Carlo è una poesia autentica e genuina. Il dialetto è una lingua ricca di musicalità, inoltre Carlo è musicista e compositore, infatti troviamo i suoi spartiti nel libro. Arriva con il suono della nostalgia, di un tempo che scorre. Il dialetto di per sé racchiude il mondo che nelle nostre idee e nei nostri ricordi è associato all’infanzia e ai nonni, a un tempo semplice, sincero, spontaneo, che manca al giorno d’oggi fatto di apparenze e selfie. La poesia del libro di Carlo risponde con delicatezza al mondo d’oggi. Il titolo svela l’autenticità delle nostre origini, della nostra città Ascoli, infatti ha un termine vicino NAIF che va a indicare la sua semplicità e la sua ingenuità. Le poesie si svelano come ritratti. Ogni poesia ha il ritratto di una personalità, scava nel profondo dell’animo attraverso le descrizioni quotidiane, le parole, i dialoghi, le abitudini. Dietro il ritratto di una persona si nasconde il ritratto di una città, di una comunità e di un tempo preciso. Così racchiude gli aspetti semplici e di candore creando un effetto bucolico e malinconico.
Sono i particolari, i dettagli, a mostrare un elemento dopo l’altro il carattere degli uomini descritti.
È il dialogo dell’ultima strofa nella poesia dedicata a Don Vincenzo Luciani che esprime la vena ironica e umana di lui, con pochi versi ci fa immaginare il suo contatto, il suo rapporto con gli altri, esprimendo la sua vena non solo ironica ma anche paterna. Si può percepire la sua risata, così vera, tra i versi.
La poesia è concreta, è una tavolozza di acquerelli con i quali si presentano i parroci di Maltignano. Don Luigi Celani, un uomo determinato, vicino alle persone, ai fedeli, un rivoluzionario delle consuetudini. Carlo ci mostra la sua passione con le parole “sudore e lacrime” di un uomo che era di fede e di grande ingegno oltre che un artista.
Don Roberto Di Lorenzo, parroco di Caselle, diventa anche l’interlocutore di una questione, di un dubbio:
Trascorsi; anni, siam soddisfatti,
possiamo dir: “Provvidenza non manca-mai”!
Miracoli; l’abbiam ricevuti tutti,
chi più chi meno: “non ci accontentiamo-mai”!
È la schiettezza della poesia che si trasforma in dialogo, che risveglia l’animo socratico, e che con pochi tratti ci espone la società e il suo cambiamento nel corso degli anni, una società che non cambia però un vizio “quello di non accontentarsi mai”.
Le poesie presentano elencazioni di oggetti, parti di città, panorami, che si materializzano nella nostra immaginazione. Così tanto che sembra di essere lì tra le “stradine brecciate” a giocare con gli altri bambini e a sporcare “piedi, scarpe, calzoni”.
È peculiare il ritratto di Don Peppe Bianchini, il parroco autista, o la moderatezza di don Alessio Cavezzi, o la semplicità di Don Memè.
Nella poesia “Via Maltignanese” si ritrova un dramma vissuto nelle nostre zone, il Terremoto del 2016, ma il ritratto ha leggere pennellate, diventa una cornice per parlare della vita e della rinascita, oltre gli ostacoli e le negatività, diviene uno sketch con protagonisti il sindaco e gli assessori. Si nota un climax ascendente verso l’ironia con cui riflettere sui punti critici della nostra era come l’allarme ambientale.
E poi una riflessione profonda, tra un botta e risposta, un saluto tra compari, un tema caro alle famiglie che si sentono sole, emarginate. I temi della solitudine e dell’emarginazione. Si parla della diversità, si parla di diverse abilità, si parla di disabilità. Il fulcro su cui si concentra il tema: è il grande amore delle famiglie che si sentono lasciate in disparte. Tra i versi si legge il coraggio e l’amore di chi non si arrende, di chi nella sua debolezza trova la forza di combattere, di far notare quanto sia importante accettarsi. La disabilità non rende nessuno perdente, è la fatica di Ercole che mostra la tenacia, la forza di chi affronta anche la malattia. La poesia ha così veste civile, è vicina alle donne, agli uomini, ai loro figli, mostra i sospiri di chi si accorge che sia meglio donare, aggiungere piuttosto che togliere. Difficile è non commuoversi leggendo le poesie dedicate alla figlia Jessica. È descritta la sua figura esile, quella di una bambina che affronta la malattia e gli ospedali. La grinta di questa bimba e della sua famiglia si concentra nel verso “vai a battaglià” che racchiude il coraggio e la forza dell’Amore. Infatti la bimba non è che un “fiore d’amore e felicità.”
Si parla anche dell’importanza della scuola, di un’istituzione martoriata dai tagli e che ha bisogno di riconquistare la sua forma, il suo posto nella società, il suo giusto riconoscimento, siccome è importante nell’educazione e nelle relazioni, nella vita quotidiana, nella vita civica.
La vivacità della rima e delle figure retoriche del suono, come assonanze o consonanze, trasporta il lettore tra le conversazioni, come fosse uno spettatore pronto a prender parola.
E come è propria la coscienza umana, si rivolge ai Santi, ai patroni, una volta San Cristanziano e una volta San Marco Evangelista.
Le sineddochi ci aprono l’immagine superba della città di Ascoli, con le sue 100 torri, chiese, campane, piazze. Ogni luogo è un simbolo. Simbolo della storia, della fede come quella per il tanto devoto Sant’Emidio. Le campane e le piazze sono il simbolo della serenità, del poter ancora contare su qualcuno, di una comunità che ancora si conosce, si guarda negli occhi, si saluta e parla in piazza. Sono il simbolo di una speranza tramandata dal passato.
Sono il simbolo di una fede, ma soprattutto di una fiducia nel futuro, simbolo personificato nella figura di Monsignor Giovanni d’Ercole che incarna il passato, il presente e il futuro. Un uomo del passato che ha mostrato amicizia, ed è nel presente come vescovo di Ascoli, ed è il ponte che unisce a un futuro che è immaginato, sperato, un futuro di speranza quindi di sogni da realizzare.
I ritratti diventano commoventi, parlano d’amore e di dolore. Tra i nomi ci sono le persone che si conoscono, quelle che possono essere i vicini di casa, i compagni di una passeggiata estiva, la poesia diventa realistica. Ha il peso della morte, ma nell’allegoria dei fiori c’è l’Amore, con la lettera maiuscola, che sconfigge i tristi pensieri. Come nella poesia dedicata a Ornella che perde il marito. Il dolore non sparisce, non può sparire perché è intrinseco nel ricordo, ed è un errore pensare che la memoria sia nostra nemica. La memoria serve per affrontare le nostre paure, per renderci forti, vigorosi, e pronti a manifestare la gioia della vita.
Tra i ritratti non mancano i veterinari. Il nostro è un paese legato alla natura, alla campagna e inevitabilmente agli animali. Così come fosse un moderno Cantico delle Creature, quello composto da San Francesco che chiamava ogni elemento fratello o sorella, ringraziando nella sua laude il Signore. Così ritroviamo un ritratto francescano di questi “dottori degli animali”.
Di fatti poi si descrivono i lineamenti dell’attuale Papa che ha il nome del santo. Papa Francesco nella sua semplicità – e ricordiamo nulla è più complesso di ciò che ci sembra semplice – . Ogni cosa ha la complessità di un disegno divino. Allora non poteva mancare il sorriso del papa in questa raccolta. Il papa che come un padre accoglie la nostra preghiera e ci accoglie nel suo cuore.
Il libro raccoglie i ritratti delle persone comuni, ma ognuno è speciale, ognuno lascia il suo segno indelebile sull’altro. Basta un gesto, basta l’intreccio che il destino ha ricamato. Questi versi seguono quell’intreccio e ci porta sul gomitolo del pensiero e del ricordo, il gomitolo della coscienza umana.
La raccolta di poesie termina poi con dei racconti, con la prosa, come la vicenda de “La vita di campagna e la povertà di una volta”. Questi sono frammenti, testimonianze, importanti per i giovani, per le nuove generazioni, per non far dimenticare o meglio per renderli coscienti delle loro origini nobili, la nobiltà di un animo semplice come quello dei contadini, come quello che ci lega alla terra. Non si può che definire bucolico, con lo stesso sentore crepuscolare di Virgilio che ci parlava di contadini appassionati del loro lavoro, affezionati alle loro terre, e che si sarebbero sentiti poi spogli, completamente nudi senza di esse. Questa è la magia che ritroviamo nel libro, il legame eterno che spinge l’uomo alla madre terra. Oltre qualsiasi difficoltà, non possiamo dimenticare dell’amore che ci dona la natura, noi umani che la disprezziamo ogni giorno con attività incoscienti. Era poco ciò che si aveva, ma quel poco lo si custodiva con attenzione. Nella povertà di una volta si nascondeva il segreto di una maturità che portava a difendere quel poco, anche legato agli elementi della terra,quel poco che gonfiava l’immaginazione di chi partiva. Emigrazione, altro tema, il termine per indicare chi lasciava la sua casa in cerca di una nuova terra, di una società nuova, con la speranza di avere un poco di successo nella propria impresa.
E poi seguono i ricordi, li vedi correre, è impossibile non vederli i bambini descritti nelle poesie. Li vedi correre, ridere, rubare le uova per la Pasqua. Vedi le ragazze così giovani che hanno vissuto la guerra e che velocemente rispondono sì alle nozze. Vedi la storia di una famiglia, delle radici di una famiglia di contadini nelle campagne di Ascoli. Riesci a immaginare i campi, le corse lungo i binari, le mucche e le pecore, le risate delle ragazzine, le scarpe larghe dei bambini passate dai fratelli maggiori, i capelli disordinati, l’odore del cucinato in una sala dove si mangiava in tantissimi tra zii, cugini e parenti. Ti vedi vicino a loro, vicino al focolare, ti senti parte di quella famiglia numerosa. Questi sono i ricordi importanti da custodire e per questo sono da ringraziare le poesie di Carlo perché ci regalano una vita difficile da vivere oggi, ci regala la fantasia di un tempo passato e la voglia di non arrendersi mai. Ci regala la forza dei legami familiari, la forza che ci infonde la terra così ruvida, asciutta o umida, ricca di vita e pronta a parlare con noi nel suo linguaggio segreto e non di certo fatto di parole, ma comunica con noi e ci dà consigli: nonostante le difficoltà, diverse e svariate, noi non siamo soli e – dobbiamo ricordarlo – in un convegno così importante come oggi non dobbiamo mai dimenticare il fatto che non siamo soli e che ognuno di noi è una risorsa, un pilastro, una quercia, importante per l’altro e viceversa, come due travi di una stessa capanna e insieme sanno che quel tetto non potrà mai cadere.”

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